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Tumblr e il porno, due calde reazioni a caldo

Quelli che seguono sono due commenti di Roberto Terracciano e Nina Ferrante sul ban da parte di Tumblr del contenuto per adulti sulla piattaforma. Se hai cambiato idea sulla lettura di questo doppio post, puoi uscire: portami alla pagina dei gattini

Il Tumblr nel CorSera

di Roberto Terracciano

Ok, tutti ce lo siamo detti tra i denti ma non è mai uscito sulla pubblica piazza: chi guarda porno su Youporn ormai viene visto alla stregua di quelli che nemmeno cinque anni fa si nascondevano nella sezione hard di un videonoleggio o di chi come me scrivono su Facebook post lunghi come questo. I blog not-safe-for-work sono invece delle gallerie curate gratuitamente da amatori e amanti del genere che pubblicano in modo ragionato le proprie foto o quelle di altri. Mi sono inscritto a Tumblr in un’epoca in cui sembrava che bisognava essere attivi su tutti i social, anche quando non si capiva bene a cosa servissero ma mi sono avvicinato al suo lato speziato molto dopo per risvegliare quel piacere dei racconti erotici amatoriali che leggevo da adolescente fatti di luoghi oscuri e situazioni liminali in cui non mi sarei mai cacciato, per poi scoprire un mondo fatto di foto, di video e una fitta rete di blog che “parlavano” tra di loro.

Cose molto tumblr

Tumblr è stato a lungo percepito come il più spocchioso servizio di blogging, quello che non permette di commentare i post ma di rebloggare ovvero ricondividere il post ad libitum. Un blog a zero commenti, minimalista, nichilista, libero dall’ansia della conversazione, un’idea vista con sospetto all’epoca di Blogger, di Splinder e dei commenti di haters su YouTube. Come in un bicchiere per il sex on the beach, nel tumbler social si mischia tutto: sesso, gattini, triangoli hipster, paesaggi, meme e citazioni decontestualizzate. In questa community fatta di relazioni di condivisione però hanno trovato rifugio gli amanti del porno, di amatori, di foto erotiche grazie anche all’apertura della piattaforma rispetto a questo tipo di contenuti.

Cosa è successo?

Qualche giorno fa l’app store di Apple rimuove l’applicazione di Tumblr dal suo negozio per violazione dei regolamenti di Apple e su applicazione della legge SESTA/FOSTA a causa una segnalazione di un post pedopornografico. Nell’ecologia delle app, in ambienti chiusi quali Apple, il gestore del negozio governa il flusso di informazioni (finirà che come Facebook, lo store dovrà definirsi una media-company). Per evitare di essere cancellati dal PlayStore di Google e dall’appstore di Apple i gestori della piattaforma hanno deciso di limitare la libertà di espressione dei propri utenti, in modo tra l’altro legittimo essendo Tumblr una piattaforma proprietaria, adducendo una serie di motivazioni moraliste con toni paternalistici. Scrive Jeff d’Onofrio – ad della società – in un post-comunicato “dobbiamo decidere che community vogliamo essere?” “Daremo la possibilità ai blogger nsfw di pubblicare in futuro post adeguati” (grazie eh!). Ora pare un po’ ironico definirsi community se chi partecipa alla comunità non ha diritto di co-decisione delle pratiche della stessa.

Perché su Tumblr?

Oltre la libertà concessa dalla piattaforma era lo stesso suo funzionamento a garantire il riconoscimento, entro i dovuti limiti, dell’autorialità dei post, attraverso la funzionalità del trackback per risalire al blog originale del post condiviso. Questo meccanismo creava in un certo qual senso una rete di pari che si riconoscevano e che producevano in maniera autonoma il contenuto.

Porno 2.0

Ma nell’era dello user generated content in cui se non paghi un prodotto, il prodotto sei tu, molti dei porno amatori avevano scoperto le gioie di Onlyfans, piattaforma che permette ai produttori di contenuti di essere pagati per il loro lavoro e di lasciare su Tumblr solo dei teaser delle proprie gesta erotiche. L’onnipotenza di PornHub che ha in mano praticamente tutto il mercato di diffusione online di porno ha secondo molti lavoratori del settore rovinato il genere, le cui produzioni industriali hanno danneggiato sia l’arte ma anche l’immaginario legato al sesso e ai rapporti di genere nell’espressione della sessualità. Cosa confermata dall’introduzione del sistema dei token in Chaturbate e Cam4. Laddove la piattaforma incoraggiava una volontaria espressione del proprio desiderio online sono intervenuti i gettoni e i goal attraverso i quali si promette una determinata performance. In questa nuova veste i siti di “social-porn” si traducono visualmente nell’immagine di un condominio di finestre da cui si affaccia un esercito annoiato di camboy e camgirl che vendono le proprie prestazioni un tanto al chilo e in cui si promette si promette si promette e poi non si scopa mai. Ottima metafora del capitalismo di piattaforma: comodo ma come dire poca soddisfazione. Il risultato è che il sesso è diventata la cosa meno sexy del mondo.

Free culture

È qui che tutti i nudi vengono al pettine. Dopo anni di tecnoentusiasmo per tutto ciò che è gratuito online ci si è dovuti fare un esame di coscienza ed essere onesti: tutta la nostra attività online (come molta parte di quella offline) è lavoro gratuito, ed è una forma che quanto meno dev’essere riconosciuta. Il problema di Onlyfans e Cam4, al pari di mille altre piattaforme di microjob, però è che pongono l’utente in posizione di autosfruttamento. Insomma la free culture non doveva avere questo epilogo. Piuttosto piattaforme come Tumblr che hanno campato, diciamocelo, grazie alla circolazione di materiale hhhhhhooooottt decidono di chiudere ai suoi principali community builder lasciandoli senza casa né riconoscimento, probabilmente commettendo uno dei più spettacolari suicidi digitali di una compagnia online.

La chiusura di Tumblr sul contenuto per adulti è una scure che cade sì sul porno ma anche sulla sperimentazione, sull’arte e ci interroga sulla privatizzazione degli spazi pubblici on e offline e sull’opportunità o meno di fare ancora parte di questo tipo di economia/logia digitale, una forma autoritaria di governo dell’informazione su cui da utenti non abbiamo alcun diritto di negoziazione.


Effetti della censura del porno su Tumblr: tempo per scrivere della censura del porno su Tumblr

di Nina Ferrante

Lei entrò di soppiatto nella stanza, foriera della sciagurata notizia:

“Hanno tolto i porno da Tumblr. Come faremo?”

Cerchiamo immediatamente delle buone ragioni o delle ragioni qualsiasi per strapparci via le giffine porno, assaggi di fantasie, un colpo d’occhio su più lunghe trame di desiderio. A lungo vituperate come simbolo di una sessualità predatoria e compulsiva, Tumblr in realtà ha diffuso album con scatti animati di fantasie di ogni tipo, trascendendo dalla categorizzazione del labeling e del tagging, funzionando piuttosto per disseminazione e contagio di hashtag, o come la tecnica voluttuosa delle ciliegie: una tira l’altra.

Confesso di essere una signora d’altri tempi, ancora legata alla ricerca estetica e alle lunghe trame, eppure non disprezzo un contenuto intenso e breve che funzioni come un sorsetto dalla fiaschetta, che mi dia lo slancio e la leggerezza per affrontare un impegno stressante, la scrittura, un date… insomma non disdegno. Tumblr tuttavia è una scoperta recente anche per me, e comunque ci sono entrata dalla porta di retro, su suggerimento di gif di gattini che comparivano casualmente in porno amatoriali. Nulla di più postporno a pensarci, di più efficace nel decentrare il porno dall’atto penetrativo e risignificare l’erotismo da altre prospettive. E poi gattini e porno, un diabolico connubio, solo apparentemente impossibile, tra i contenuti più ricercati di sempre dell’internet.

Avevo già un account, me l’ero fatto quando mi avevano messo in stop su facebook per aver detto che un prof di Scienze Politiche della Federico II era un porco molestatore. A rota di social riattivai Twitter, Instagram e pure Tumblr; finsi di appassionarmi ai diari on line di disagiat* queer statunitensi e surfai tra illustrazioni, poesiole, quadernini e altri contenuti hipsters. Ho anche a lungo coltivato io stessa l’idea di condividere un diario, riprendere la scrittura, cercare contenuti che facessero di me una bella persona. Poi fortunatamente Mark mi ha perdonata e sono tornata su Tumblr solo successivamente per i pornetti. La scoperta è stata sorprendente, l’incrocio tra i diari queer e la ricerca del porno, con una zampata di gattino impertinente, ha istruito un algoritmo stranamente intelligente che mi ha aperto un mondo di esplorazioni, sperimentazioni e autorappresentazioni.

Il panico si diffonde nella mia bolla social con la velocità che solo la morte di un vip riesce a raggiungere; sarà stato il portato epico della tragedia. Una domanda rimbalza tra post e commenti, un unico quesito attanaglia la mia community: “A che serve Tumblr senza porno?”, o anche nella versione più distaccata, politica, produttivista, a tratti intellettuale: “Come sopravviverà Tumblr a questa censura?”.

Già vestendo il lutto per la prematura dipartita della nostra piattaforma porno preferita, principiamo la ricerca delle ragioni. In reatà è Jeff D’Onofrio stesso a scriverci per dirci che tutto è cambiato. Come accade per gli eventi epocali, che potenzialmente possono far risentire gli utenti dei social, è il CEO stesso ad assumersi la responsabilità di interloquire con ogni singola persona e lanciare un accorato appello al senso di comunità. Tuttavia qui non ci viene detta tutta la verità e la ragione data è invece la scusa più consunta, utilizzata ogni volta che si deve porre fine a un dibattito sulle libertà sessuali e l’autodeterminazione: la difesa del bambino.

Pubblicare qualcosa che è dannoso per i minori, compresa la pornografia infantile, è ripugnante e non ha posto nella nostra comunità. Abbiamo sempre adottato, e adotteremo sempre, una politica di tolleranza zero per questo tipo di contenuti.

Ma come ci ricorda Paul Preciado: “chi protegge il bambino queer?

La libertà di espressione delle giovanissime frocie e trans che hanno trovato proprio su questa piattaforma un luogo dove trovare, raccogliere e condividere i propri immaginari sessuali, come verrà tutelata? Il senso di empowerment che può dare il riconoscersi come corpo desiderante, ma soprattutto desiderabile, quali altri spazi troverà? Jeff liquida così queste domande:

Su Internet non mancano i siti con contenuti per adulti. Lasceremo a loro questi contenuti e concentreremo i nostri sforzi per creare l’ambiente più accogliente possibile per la nostra comunità.

È veramente interessante la costruzione di questa frontiera, dove all’interno si protegge un’intera comunità infantilizzata, dai pericoli di un mondo pieno di “contenuti per adulti”. Non arrovellatevi troppo il cervello per una definizione definitiva di ciò che è adulto e quindi da espellere dalla comunità:

Quali sono i contenuti considerati per adulti?

I contenuti per adulti includono principalmente foto, video o GIF che rappresentano organi genitali realistici o capezzoli femminili, nonché tutti i contenuti, tra cui foto, video, GIF e illustrazioni, che rappresentano atti sessuali.

Ovviamente mentre si esplicita la regola si produce la sua eccezione:

Cosa è ancora permesso?

Alcuni esempi comuni di eccezioni, ovvero contenuti ancora permessi, includono l’esposizione di capezzoli femminili per l’allattamento, momenti prima o dopo il parto e situazioni legate alla salute, come ad esempio immagini successive alla mastectomia o ad interventi chirurgici relativi al cambiamento di sesso. Contenuti scritti come erotismo, nudismo impiegato per temi politici o di attualità e immagini di nudi presenti in ambito artistico, come sculture e illustrazioni, possono essere liberamente postati su Tumblr.

L’eccezione è dunque la piattaforma stessa, che strizza l’occhio alle proteste che sono state mosse contro altre, colpevoli di aver indiscriminatamente operato una censura di queste immagini comunque considerate tollerabili perché desiderabili ma non con una connotazione sessuale.

La parte più interessante di queste comunicazioni resta il modo in cui alcuni concetti nati nelle comunità queer e sex positive vengano decontestualizzati, estetizzati e depoliticizzati, spiegandoci nella morbidezza della nostra lingua in che modo saremo espropriat*. Proprio a iniziare dal concetto di comunità, il modo in cui ci siamo trovat* e raccolt* intorno a questa piattaforma, l’abbiamo riempita rendendola produttiva e desiderabile, diviene invece il modo in cui viene costruita una frontiera, che produce dell’esclusione e un bisogno di protezione da parte di un’autorità. Così la stessa parola safe, una pratica orizzontale di negoziazione per l’accoglienza, slitta nel significato più proprio che assume nella traduzione italiana che conosce solo il concetto di sicurezza. E infine, ma sin dal principio del titolo Un Tumblr migliore e più positivo, si appropria del concetto di positività per svuotarlo di tutte le lotte di riappropriazione d’immaginari e pratiche sessuali, e renderlo un feticcio vuoto di ciò che ci può rendere felici e confortevoli in un mondo bonificato dal sesso.

La verità, infatti, che non ci viene raccontata da Jeff, è che questo provvedimento è stato preso a seguito delle leggi SESTA (Stop Enabling Sex Traffickers Act) e la legge FOSTA (lotta contro il traffico sessuale online), approvate quest’anno negli Stati Uniti; le due leggi hanno reso responsabili le piattaforme dei contenuti pubblicati dagli utenti, e sotto la spinta della retorica della lotta al traffico umano, è stata attuta una bonifica di molte piattaforme e la chiusura di alcuni portali utilizzati da sex worker e attivisti per promuovere prestazioni e pratiche. Lo stesso Grindr ha bloccato numerosi utenti sospettati di utilizzare la app per lavoro sessuale. Il lavoro per le piattaforme, quello informato dal desiderio, anche esplicitamente sessuale, è legittimo fin tanto che il consenso e i guadagni non siano nelle mani de* utenti stess*. Le leggi hanno immediatamente sollevato le proteste di sex workers e attivist* complici che hanno denunciato come questi provvedimenti – così come altri interventi abolizionisti – non colpiscano il traffico sessuale, ma rendano ancora più precarie e pericolose le condizioni di lavoro per chi sceglie di praticarlo in modo consensuale.

Infine giunge la domanda legittima:

Come vengono classificati i contenuti per adulti?

Questo lavoro richiede sia una classificazione con l’apprendimento automatico che una moderazione da parte del nostro team per la Sicurezza, le persone che aiutano a moderare Tumblr. (…)

I computer sono meglio degli umani quando si tratta di classificare, per questo ne abbiamo bisogno, ma non sono così bravi a rilevare sfumature e a prendere decisioni contestuali. Si tratta di un processo in evoluzione per tutti noi e ci stiamo impegnando al massimo per applicarlo al meglio.

La domanda legittima assume il carattere della necessità, per aprire una via di fuga da questa gabbia distopica fatta di controllo e censura delegata a delle fredde macchine sotto il controllo di umani più umani. L’orizzonte dell’utopia verso il quale muoversi sarebbe proprio un processo simpoietico d’ibridazione, piuttosto che un percorso evoluzionista. Invece di insegnare alla macchina un algoritmo – un linguaggio composto da un insieme di comandi – in grado di riconoscere i “contenuti per adulti”, senza per altro fidarci di quali decisioni verrebbero prese, potremmo immaginare l’algoritmo come una lingua condivisa, transfemminista, includente; che produca spazi in cui sentirsi abbastanza confortevoli e accolte da poter essere coraggiose nel condividere anche i nostri desideri, senza incorrere nelle molestie della censura o del patriarcato; un cyborg learning reciproco, non indirizzato a colpire dei target, parole scomode, soggetti sensibili; in cui una parte deve mantenere il controllo e l’altra solo apprendere, nel terrore costante della perdita di controllo su ciò che la macchina apprende da sola infinitamente. Un terrore che si nutre di ciò che alla macchina insegniamo: scovare, disciplinare, punire, censurare, la bianchezza, le frontiere, il terrore dei corpi, della libertà ,del desiderio. Non ci resta quindi che essere coraggios*, immaginare una nuova relazione con la macchina in cui apprendiamo reciprocamente quello che non è ancora qui, ora. Intanto non ci restano che i gattini.

La rivoluzione è femmina e cyborg. Ma non solo

A Westworld (WW), il gigantesco parco a tema gestito dalla Delos Corporation, spiega il Dottor Ford, suo direttore creativo, non si va tanto per trovare conferma di quello che già si è, quanto per avere un assaggio di quello che si potrebbe essere. Chi va a WW per dare libero sfogo alle fantasie più estreme è consapevole del fatto che il gioco si fa più duro man mano che ci si allontana dal centro e si procede verso il confine, andando da Sweetwater, la città all’ingresso del parco, verso Pariah, ricettacolo di delinquenti ed emarginati appositamente concepita per avere un aspetto “Tex-Mex”. Ma, a ben guardare, di confini il parco è disseminato un po’ dovunque, dal momento che i visitatori (guests) interagiscono con una popolazione di cyborg (hosts) perfettamente programmati per essere indistinguibili dagli umani.

Dolores e Teddy
Dolores e Teddy

Nel mantenere questa ambiguità su chi siano effettivamente gli Altri a WW, se gli umani che arrivano da fuori o gli androidi che vivono lì dentro, la serie TV della HBO ci racconta l’attrazione e il rischio del confine, coniugando il mito della frontiera spaziale tipico del genere western, con quello della frontiera della vita biologica proprio della fantascienza sull’intelligenza artificiale (IA). In entrambi i generi, l’immaginario è caratterizzato in senso fortemente patriarcale. Tradizionalmente, nel western, l’uomo alla frontiera è l’avventuriero, l’esploratore, il fuorilegge temerario protagonista dell’azione, mentre la donna alla frontiera, perché sia funzionale alla piena espressione delle capacità e possibilità del soggetto maschile, è vulnerabile e passiva, un oggetto da proteggere e possedere che facilita la buona riuscita della conquista della terra di cui è anche rappresentazione metonimica.

il Dottor Ford
il Dottor Ford

D’altra parte, nella fantascienza sull’IA lo scienziato (qui per giunta raddoppiato nella diade Ford-Arnold) che nel segreto del suo laboratorio riproduce la vita in totale solitudine e senza l’ausilio della componente femminile, ripropone il god-trick del creatore che con la sua hybris oltrepassa il limite della vita umana. Ma il confine è uno spazio tanto codificato quanto instabile. Definito dall’insieme dei suoi attraversamenti sia materiali che simbolici, il confine è un t(r)opos privilegiato per osservare le dinamiche anche contrastanti che mette in atto: ecco perché, al di là dell’originalità narrativa e della qualità della scrittura che hanno decretato fin da subito la sua popolarità, è interessante guardare come WW articoli queste dinamiche, esplorando molteplici livelli del confine fra umano e macchinico. Nelle riflessioni che seguono mi soffermo in particolare sulla rappresentazione di genere ed etnia nella serie, per vedere come, e soprattutto rispetto a quali relazioni di differenza, alcuni personaggi superano i confini in cui li incasellano le premesse narrative.

Logan e William
Logan e William

I filoni narrativi più collaudati nel parco sembrano funzionare grazie alla riproposizione dei ruoli fissi che gli hosts performano in loop per i guests. Questi ultimi, in prevalenza ricchi maschi bianchi di cui la coppia Logan/William è l’esempio prototipico, vanno a WW per sperimentare il piacere e il potere dell’avventura. Stupri, risse, omicidi sono all’ordine del giorno, ma sono solo i guests a poterli “agire”, mentre gli hosts eseguono le funzioni per le quali sono stati programmati, fondamentalmente soggiacere, quando non soccombere, alle fantasie sfrenate dei visitatori (gli hosts possono morire per mano dei guests, ma non viceversa). Si tratta di fantasie decisamente declinate al maschile, dato che pochissime sono le scene funzionali allo sviluppo del racconto in cui appaiono guests donne e inoltre, rispetto alle hosts di sesso femminile tutte molto attraenti, non viene dato alcun peso a relazioni né etero né omosessuali con hosts di sesso maschile: al Mariposa Saloon, il bordello della città di Sweetwater, per esempio, vediamo solo sex workers donne, se si eccettua una breve scena di sesso a tre di cui è protagonista Logan nel primo episodio.

 

Dolores e William
Dolores e William

Le due protagoniste femminili della storia, Dolores e Maeve, offrono una prospettiva che, se è forse esagerato definire femminista, non resta sicuramente ancorata agli stereotipi cui inizialmente allude. Dolores è un’ingenua e sognatrice figlia di famiglia dall’aspetto etereo – bionda, occhi azzurri, carnagione pallida, una specie di mix western di Alice e di principessa Disney –, costantemente in pericolo e in attesa di riunirsi al suo principe (Teddy) o di essere salvata dall’eroe buono (William), figure altrettanto tagliate con l’accetta che ne costituiscono la controparte maschile.

Maeve ed Escaton
Maeve ed Escaton

Al contrario Maeve, madame del Mariposa Saloon, è scanzonata, per nulla sprovveduta e molto sensuale: capelli, pelle e occhi scuri, nel suo vestito da seduttrice Maeve impersona la parte di chi vive “alla giornata” (come fa d’altronde ogni host senza saperlo) e ha imparato a cavarsela da sola, non aspetta nessun eroe se non i clienti del Mariposa Saloon, e invece di fantasticare sull’amore romantico preferisce scopare con Hector Escaton, bel tenebroso dal grilletto facile. Entrambe tuttavia, man mano che la storia progredisce, sembrano deviare, seppure in modi diversi, dal ruolo di genere che è stato loro assegnato: e lo fanno sia letteralmente, mostrando di poter uscire fuori narrative e recuperare la memoria di un vissuto diverso, sia simbolicamente rispetto all’immaginario che evocano e da cui progressivamente si discostano. Destinate a ricoprire all’infinito il ruolo dell’Altro in una storia già scritta, Dolores e Maeve si costruiscono una storia alternativa a partire da quella che hanno già vissuto ma che è stata loro cancellata programmaticamente.

Maeve nel labirinto
Maeve nel labirinto

[Spoiler Alert] Mentre Dolores si avvia verso il centro del labirinto, scopriamo che molto probabilmente è stata vittima di uno stupro, che il suo iniziale salvatore (William) è in realtà il suo persecutore (The Man in Black), che nel suo personaggio è stata inglobata la narrative di Wyatt, l’imprendibile bandito autore dei massacri di di WW cui tutti danno la caccia (che di fatto è lei), e che la capacità di uccidere di cui è dotata si volgerà contro il suo stesso creatore. Lungo questo percorso, Dolores vive una specie di inabissamento progressivo, aggirandosi fra differenti livelli spazio temporali per sottrarsi alla ripetizione che la imprigiona alla ricerca di un’identità profonda di cui vuole a tutti i costi riappropriarsi. Per converso Maeve, che in una scena dell’E08 vediamo sdraiata sulla nuda terra proprio al centro del labirinto, insieme alla figlia con cui è stata violentemente uccisa e di cui andrà alla ricerca fino alla fine, compie un percorso di liberazione inverso, un andare verso l’Altro che comporta l’uscita dal ruolo nel quale è intrappolata, tanto che della sua vicenda è stata data anche un’interessante lettura in chiave transgender. Il suo cambiamento avviene in modo molto più concreto e doloroso di quanto non accada a Dolores. Maeve deve esporsi fisicamente e morire violentemente molte volte per conquistare finalmente l’accesso all’upgrade che le consentirà di organizzare la rivolta finale. Il suo riscatto è come la fuga da una gigantesca gabbia: lo stesso che vorrebbe compiere l’uccellino-host che nell’E05 va a posarsi sulla sua mano dopo esser stato riparato da Felix, il tecnico-chirurgo asioamericano del Livestock Management, reparto “riparazioni” della Delos, che mostra a Maeve come tutte le sue azioni dipendano dal core programming, e che la fa anche entrare nelle stanze dove gli hosts sono creati, rendendola testimone della nascita della sua stessa specie.

Dolores e Bernard
Dolores e Bernard

Dolores non cerca mai di uscire dal parco del quale è l’host più “anziano”, Maeve sente di non appartenervi affatto. La rivolta di Dolores rimane in fondo individuale, e pur scardinando lo stereotipo nella quale è intrappolata dalla narrative assegnatale, anche la sua vendetta è compiuta sulla base di una motivazione fortemente personale (la strage della sua famiglia e la violenza subita). In questo percorso di individuazione Dolores è sempre accompagnata per mano, non la vediamo distesa su un tavolo in posizione orizzontale come spesso Maeve – sottoposta a continue riparazioni materiali –, ma perlopiù seduta in “modalità-analisi”, in dialogo (guidato) con Ford o Bernard Lowe, suo primo collaboratore alla guida della Divisione Programmazione.

Maeve e Felix
Maeve e Felix

Maeve sa di essere una macchina manovrata dall’alto, e non ha bisogno di cercare se stessa; anche il ricordo della morte della figlia scatena in lei un desiderio di ribellione collettiva piuttosto che di vendetta personale. La sua autonomia non è mai l’individualismo di Dolores, perché Maeve sa perfettamente che per ribellarsi ai padroni è necessaria una sollevazione condivisa dal basso, e per far questo bisogna radunare il maggior numero possibile di hosts: peraltro, contrariamente a quanto accade a Dolores, la cui evoluzione è curata passo dopo passo dai massimi vertici della Delos, essendone anche il progetto più ambizioso, ad aiutare Maeve fra i guests è invece Felix, personaggio che occupa una posizione di subalternità nella gerarchia della corporation, essendo in definitiva un sottoposto che esegue gli ordini dei piani alti.

Se come ha scritto Aaron Bady in un articolo sul New Yorker ogni storia di robot racconta la resistenza dei lavoratori contro il padrone che li sottopone a condizioni disumane di sfruttamento, e anche le storie western incentrate sulla guerra civile americana parlano soprattutto – come insegna W. E. DuBois – della rivolta degli schiavi neri contro i padroni bianchi per la conquista della libertà, l’emancipazione di Maeve come cyborg femmina che è anche e soprattutto un cyborg femmina nero acquista un significato molto diverso da quella di Dolores, con cui pure condivide parte del percorso. Infatti, nonostante sia Dolores che Maeve si liberino della femminilità stereotipata che rappresentano (dove comunque Dolores è già lo stereotipo alto e Maeve quello basso), Dolores resta una figura privilegiata e tutto sommato integrata, mentre Maeve mantiene sempre una posizione marginale e doppiamente subalterna, perché non è soltanto l’Altro dell’umano maschio, ma è anche l’Altro dell’umano maschio bianco.

Escaton nella stanza di Charlotte
Escaton nella stanza di Charlotte

La questione non è ovviamente così schematica, perché la connotazione etnica non è in sé un indicatore stabile di subalternità a WW, ma dipende molto dal confine che mette in pericolo e dalle relazioni di potere che chiama in causa. Prendiamo ad esempio Charlotte Hale, rampante direttore esecutivo della Delos. Quando nell’E07 Theresa Cullen, la Responsabile Operativa del parco, si reca nella stanza di Charlotte, questa ostenta molto tranquillamente la propria relazione sessuale con lo stesso personaggio con cui guarda caso si accompagna Maeve, cioè Escaton. Ma se Maeve ed Escaton si rapportano in una posizione assolutamente paritaria, Charlotte nel suo ruolo partecipa di un potere patriarcale rispetto al quale Escaton appare un mero strumento di piacere per giunta gratuito, dato che Charlotte non è tecnicamente una guest e quindi non ha bisogno di pagare per divertirsi con le attrazioni del parco (si noti che in tutta la scena Escaton rimane legato alla spalliera del letto facendo da sfondo al dialogo fra le due donne al quale non prende parte in alcun modo, quasi fosse in modalità stand-by). Di contro, la scena a mio parere forse più disturbante dell’intera serie vede nell’E05 Elsie Hughes, collaboratrice di Bernard, alle prese con Bart, un host nero che dev’essere ricondizionato, inquadrato di profilo dietro a un tavolo in modo da evidenziarne i genitali mentre cerca goffamente di versare dell’acqua in un bicchiere.

Elsie e Bart
Elsie e Bart

Qui Elsie si lascia andare a una battuta sessista e razzista sul suo “talento”, che sarà tragicamente sprecato nella nuova narrative cui è destinato (quale non è dato sapere), mostrando come lo sguardo e le parole di Elsie nel ruolo di potere che in quel momento occupa (come del resto quando bacia Clementine nell’E01) riducano il difettoso Bart a un corpo-oggetto, escludendolo da una storia il cui antefatto e i cui sviluppi non conosceremo mai.

Che in WW anche le IA non solo femmina abbiano diverse etnie, contrariamente a quanto accade di solito, è senz’altro un aspetto interessante della serie, dove due degli hosts protagonisti, Maeve e Bernard, sono neri: tuttavia rispetto a Maeve, l’appartenenza etnica sembra mantenere Bernard – che inizialmente non sappiamo nemmeno essere un host –in una posizione di subordinazione rispetto agli altri personaggi con cui si relaziona maggiormente. Bernard infatti è di fatto una replica con la pelle nera di Arnold, il primo co-creatore del parco con Ford, e la sua apparente posizione di parità è in realtà una manipolazione orchestrata da Ford che nella relazione mantiene sempre il potere maggiore (chi ha visto la serie potrebbe pensare lo stesso riguardo a Maeve, soprattutto considerando la scena finale del treno, ma da spettatori ci conforta sospendere le ipotesi più facili e aspettare la seconda stagione). È stato notato, peraltro, che la figura di Bernard è costruita in modo appositamente femminilizzato, definita più da quello che gli è stato fatto che da quello che ha fatto: per esempio, la sua (seppur falsa) memoria incentrata sull’accudimento del figlio malato da un lato lo maternizza e dall’altro, rispetto alla coppia di creatori maschi Ford-Arnold da cui “discende”, lo pone in una posizione di ricettività passiva (Bernard è colui che accoglie il core code di Arnold).

In definitiva, se c’è una cosa che la narrazione di Westworld ci mostra molto bene, pur lasciando ampio margine nel rispetto dello spettatore a numerosi dubbi, ripensamenti e capovolgimenti che appaiono sempre possibili, è che i confini dell’umano non hanno proprietà stabili, ma il loro significato dipende dagli attraversamenti e dalle dinamiche di potere e resistenza che riescono a mettere in gioco. L’importante è ricordare che arrivare a toccare il confine è un piacere violento, ma che le conseguenze possono esserlo altrettanto.