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Tumblr e il porno, due calde reazioni a caldo

Quelli che seguono sono due commenti di Roberto Terracciano e Nina Ferrante sul ban da parte di Tumblr del contenuto per adulti sulla piattaforma. Se hai cambiato idea sulla lettura di questo doppio post, puoi uscire: portami alla pagina dei gattini

Il Tumblr nel CorSera

di Roberto Terracciano

Ok, tutti ce lo siamo detti tra i denti ma non è mai uscito sulla pubblica piazza: chi guarda porno su Youporn ormai viene visto alla stregua di quelli che nemmeno cinque anni fa si nascondevano nella sezione hard di un videonoleggio o di chi come me scrivono su Facebook post lunghi come questo. I blog not-safe-for-work sono invece delle gallerie curate gratuitamente da amatori e amanti del genere che pubblicano in modo ragionato le proprie foto o quelle di altri. Mi sono inscritto a Tumblr in un’epoca in cui sembrava che bisognava essere attivi su tutti i social, anche quando non si capiva bene a cosa servissero ma mi sono avvicinato al suo lato speziato molto dopo per risvegliare quel piacere dei racconti erotici amatoriali che leggevo da adolescente fatti di luoghi oscuri e situazioni liminali in cui non mi sarei mai cacciato, per poi scoprire un mondo fatto di foto, di video e una fitta rete di blog che “parlavano” tra di loro.

Cose molto tumblr

Tumblr è stato a lungo percepito come il più spocchioso servizio di blogging, quello che non permette di commentare i post ma di rebloggare ovvero ricondividere il post ad libitum. Un blog a zero commenti, minimalista, nichilista, libero dall’ansia della conversazione, un’idea vista con sospetto all’epoca di Blogger, di Splinder e dei commenti di haters su YouTube. Come in un bicchiere per il sex on the beach, nel tumbler social si mischia tutto: sesso, gattini, triangoli hipster, paesaggi, meme e citazioni decontestualizzate. In questa community fatta di relazioni di condivisione però hanno trovato rifugio gli amanti del porno, di amatori, di foto erotiche grazie anche all’apertura della piattaforma rispetto a questo tipo di contenuti.

Cosa è successo?

Qualche giorno fa l’app store di Apple rimuove l’applicazione di Tumblr dal suo negozio per violazione dei regolamenti di Apple e su applicazione della legge SESTA/FOSTA a causa una segnalazione di un post pedopornografico. Nell’ecologia delle app, in ambienti chiusi quali Apple, il gestore del negozio governa il flusso di informazioni (finirà che come Facebook, lo store dovrà definirsi una media-company). Per evitare di essere cancellati dal PlayStore di Google e dall’appstore di Apple i gestori della piattaforma hanno deciso di limitare la libertà di espressione dei propri utenti, in modo tra l’altro legittimo essendo Tumblr una piattaforma proprietaria, adducendo una serie di motivazioni moraliste con toni paternalistici. Scrive Jeff d’Onofrio – ad della società – in un post-comunicato “dobbiamo decidere che community vogliamo essere?” “Daremo la possibilità ai blogger nsfw di pubblicare in futuro post adeguati” (grazie eh!). Ora pare un po’ ironico definirsi community se chi partecipa alla comunità non ha diritto di co-decisione delle pratiche della stessa.

Perché su Tumblr?

Oltre la libertà concessa dalla piattaforma era lo stesso suo funzionamento a garantire il riconoscimento, entro i dovuti limiti, dell’autorialità dei post, attraverso la funzionalità del trackback per risalire al blog originale del post condiviso. Questo meccanismo creava in un certo qual senso una rete di pari che si riconoscevano e che producevano in maniera autonoma il contenuto.

Porno 2.0

Ma nell’era dello user generated content in cui se non paghi un prodotto, il prodotto sei tu, molti dei porno amatori avevano scoperto le gioie di Onlyfans, piattaforma che permette ai produttori di contenuti di essere pagati per il loro lavoro e di lasciare su Tumblr solo dei teaser delle proprie gesta erotiche. L’onnipotenza di PornHub che ha in mano praticamente tutto il mercato di diffusione online di porno ha secondo molti lavoratori del settore rovinato il genere, le cui produzioni industriali hanno danneggiato sia l’arte ma anche l’immaginario legato al sesso e ai rapporti di genere nell’espressione della sessualità. Cosa confermata dall’introduzione del sistema dei token in Chaturbate e Cam4. Laddove la piattaforma incoraggiava una volontaria espressione del proprio desiderio online sono intervenuti i gettoni e i goal attraverso i quali si promette una determinata performance. In questa nuova veste i siti di “social-porn” si traducono visualmente nell’immagine di un condominio di finestre da cui si affaccia un esercito annoiato di camboy e camgirl che vendono le proprie prestazioni un tanto al chilo e in cui si promette si promette si promette e poi non si scopa mai. Ottima metafora del capitalismo di piattaforma: comodo ma come dire poca soddisfazione. Il risultato è che il sesso è diventata la cosa meno sexy del mondo.

Free culture

È qui che tutti i nudi vengono al pettine. Dopo anni di tecnoentusiasmo per tutto ciò che è gratuito online ci si è dovuti fare un esame di coscienza ed essere onesti: tutta la nostra attività online (come molta parte di quella offline) è lavoro gratuito, ed è una forma che quanto meno dev’essere riconosciuta. Il problema di Onlyfans e Cam4, al pari di mille altre piattaforme di microjob, però è che pongono l’utente in posizione di autosfruttamento. Insomma la free culture non doveva avere questo epilogo. Piuttosto piattaforme come Tumblr che hanno campato, diciamocelo, grazie alla circolazione di materiale hhhhhhooooottt decidono di chiudere ai suoi principali community builder lasciandoli senza casa né riconoscimento, probabilmente commettendo uno dei più spettacolari suicidi digitali di una compagnia online.

La chiusura di Tumblr sul contenuto per adulti è una scure che cade sì sul porno ma anche sulla sperimentazione, sull’arte e ci interroga sulla privatizzazione degli spazi pubblici on e offline e sull’opportunità o meno di fare ancora parte di questo tipo di economia/logia digitale, una forma autoritaria di governo dell’informazione su cui da utenti non abbiamo alcun diritto di negoziazione.


Effetti della censura del porno su Tumblr: tempo per scrivere della censura del porno su Tumblr

di Nina Ferrante

Lei entrò di soppiatto nella stanza, foriera della sciagurata notizia:

“Hanno tolto i porno da Tumblr. Come faremo?”

Cerchiamo immediatamente delle buone ragioni o delle ragioni qualsiasi per strapparci via le giffine porno, assaggi di fantasie, un colpo d’occhio su più lunghe trame di desiderio. A lungo vituperate come simbolo di una sessualità predatoria e compulsiva, Tumblr in realtà ha diffuso album con scatti animati di fantasie di ogni tipo, trascendendo dalla categorizzazione del labeling e del tagging, funzionando piuttosto per disseminazione e contagio di hashtag, o come la tecnica voluttuosa delle ciliegie: una tira l’altra.

Confesso di essere una signora d’altri tempi, ancora legata alla ricerca estetica e alle lunghe trame, eppure non disprezzo un contenuto intenso e breve che funzioni come un sorsetto dalla fiaschetta, che mi dia lo slancio e la leggerezza per affrontare un impegno stressante, la scrittura, un date… insomma non disdegno. Tumblr tuttavia è una scoperta recente anche per me, e comunque ci sono entrata dalla porta di retro, su suggerimento di gif di gattini che comparivano casualmente in porno amatoriali. Nulla di più postporno a pensarci, di più efficace nel decentrare il porno dall’atto penetrativo e risignificare l’erotismo da altre prospettive. E poi gattini e porno, un diabolico connubio, solo apparentemente impossibile, tra i contenuti più ricercati di sempre dell’internet.

Avevo già un account, me l’ero fatto quando mi avevano messo in stop su facebook per aver detto che un prof di Scienze Politiche della Federico II era un porco molestatore. A rota di social riattivai Twitter, Instagram e pure Tumblr; finsi di appassionarmi ai diari on line di disagiat* queer statunitensi e surfai tra illustrazioni, poesiole, quadernini e altri contenuti hipsters. Ho anche a lungo coltivato io stessa l’idea di condividere un diario, riprendere la scrittura, cercare contenuti che facessero di me una bella persona. Poi fortunatamente Mark mi ha perdonata e sono tornata su Tumblr solo successivamente per i pornetti. La scoperta è stata sorprendente, l’incrocio tra i diari queer e la ricerca del porno, con una zampata di gattino impertinente, ha istruito un algoritmo stranamente intelligente che mi ha aperto un mondo di esplorazioni, sperimentazioni e autorappresentazioni.

Il panico si diffonde nella mia bolla social con la velocità che solo la morte di un vip riesce a raggiungere; sarà stato il portato epico della tragedia. Una domanda rimbalza tra post e commenti, un unico quesito attanaglia la mia community: “A che serve Tumblr senza porno?”, o anche nella versione più distaccata, politica, produttivista, a tratti intellettuale: “Come sopravviverà Tumblr a questa censura?”.

Già vestendo il lutto per la prematura dipartita della nostra piattaforma porno preferita, principiamo la ricerca delle ragioni. In reatà è Jeff D’Onofrio stesso a scriverci per dirci che tutto è cambiato. Come accade per gli eventi epocali, che potenzialmente possono far risentire gli utenti dei social, è il CEO stesso ad assumersi la responsabilità di interloquire con ogni singola persona e lanciare un accorato appello al senso di comunità. Tuttavia qui non ci viene detta tutta la verità e la ragione data è invece la scusa più consunta, utilizzata ogni volta che si deve porre fine a un dibattito sulle libertà sessuali e l’autodeterminazione: la difesa del bambino.

Pubblicare qualcosa che è dannoso per i minori, compresa la pornografia infantile, è ripugnante e non ha posto nella nostra comunità. Abbiamo sempre adottato, e adotteremo sempre, una politica di tolleranza zero per questo tipo di contenuti.

Ma come ci ricorda Paul Preciado: “chi protegge il bambino queer?

La libertà di espressione delle giovanissime frocie e trans che hanno trovato proprio su questa piattaforma un luogo dove trovare, raccogliere e condividere i propri immaginari sessuali, come verrà tutelata? Il senso di empowerment che può dare il riconoscersi come corpo desiderante, ma soprattutto desiderabile, quali altri spazi troverà? Jeff liquida così queste domande:

Su Internet non mancano i siti con contenuti per adulti. Lasceremo a loro questi contenuti e concentreremo i nostri sforzi per creare l’ambiente più accogliente possibile per la nostra comunità.

È veramente interessante la costruzione di questa frontiera, dove all’interno si protegge un’intera comunità infantilizzata, dai pericoli di un mondo pieno di “contenuti per adulti”. Non arrovellatevi troppo il cervello per una definizione definitiva di ciò che è adulto e quindi da espellere dalla comunità:

Quali sono i contenuti considerati per adulti?

I contenuti per adulti includono principalmente foto, video o GIF che rappresentano organi genitali realistici o capezzoli femminili, nonché tutti i contenuti, tra cui foto, video, GIF e illustrazioni, che rappresentano atti sessuali.

Ovviamente mentre si esplicita la regola si produce la sua eccezione:

Cosa è ancora permesso?

Alcuni esempi comuni di eccezioni, ovvero contenuti ancora permessi, includono l’esposizione di capezzoli femminili per l’allattamento, momenti prima o dopo il parto e situazioni legate alla salute, come ad esempio immagini successive alla mastectomia o ad interventi chirurgici relativi al cambiamento di sesso. Contenuti scritti come erotismo, nudismo impiegato per temi politici o di attualità e immagini di nudi presenti in ambito artistico, come sculture e illustrazioni, possono essere liberamente postati su Tumblr.

L’eccezione è dunque la piattaforma stessa, che strizza l’occhio alle proteste che sono state mosse contro altre, colpevoli di aver indiscriminatamente operato una censura di queste immagini comunque considerate tollerabili perché desiderabili ma non con una connotazione sessuale.

La parte più interessante di queste comunicazioni resta il modo in cui alcuni concetti nati nelle comunità queer e sex positive vengano decontestualizzati, estetizzati e depoliticizzati, spiegandoci nella morbidezza della nostra lingua in che modo saremo espropriat*. Proprio a iniziare dal concetto di comunità, il modo in cui ci siamo trovat* e raccolt* intorno a questa piattaforma, l’abbiamo riempita rendendola produttiva e desiderabile, diviene invece il modo in cui viene costruita una frontiera, che produce dell’esclusione e un bisogno di protezione da parte di un’autorità. Così la stessa parola safe, una pratica orizzontale di negoziazione per l’accoglienza, slitta nel significato più proprio che assume nella traduzione italiana che conosce solo il concetto di sicurezza. E infine, ma sin dal principio del titolo Un Tumblr migliore e più positivo, si appropria del concetto di positività per svuotarlo di tutte le lotte di riappropriazione d’immaginari e pratiche sessuali, e renderlo un feticcio vuoto di ciò che ci può rendere felici e confortevoli in un mondo bonificato dal sesso.

La verità, infatti, che non ci viene raccontata da Jeff, è che questo provvedimento è stato preso a seguito delle leggi SESTA (Stop Enabling Sex Traffickers Act) e la legge FOSTA (lotta contro il traffico sessuale online), approvate quest’anno negli Stati Uniti; le due leggi hanno reso responsabili le piattaforme dei contenuti pubblicati dagli utenti, e sotto la spinta della retorica della lotta al traffico umano, è stata attuta una bonifica di molte piattaforme e la chiusura di alcuni portali utilizzati da sex worker e attivisti per promuovere prestazioni e pratiche. Lo stesso Grindr ha bloccato numerosi utenti sospettati di utilizzare la app per lavoro sessuale. Il lavoro per le piattaforme, quello informato dal desiderio, anche esplicitamente sessuale, è legittimo fin tanto che il consenso e i guadagni non siano nelle mani de* utenti stess*. Le leggi hanno immediatamente sollevato le proteste di sex workers e attivist* complici che hanno denunciato come questi provvedimenti – così come altri interventi abolizionisti – non colpiscano il traffico sessuale, ma rendano ancora più precarie e pericolose le condizioni di lavoro per chi sceglie di praticarlo in modo consensuale.

Infine giunge la domanda legittima:

Come vengono classificati i contenuti per adulti?

Questo lavoro richiede sia una classificazione con l’apprendimento automatico che una moderazione da parte del nostro team per la Sicurezza, le persone che aiutano a moderare Tumblr. (…)

I computer sono meglio degli umani quando si tratta di classificare, per questo ne abbiamo bisogno, ma non sono così bravi a rilevare sfumature e a prendere decisioni contestuali. Si tratta di un processo in evoluzione per tutti noi e ci stiamo impegnando al massimo per applicarlo al meglio.

La domanda legittima assume il carattere della necessità, per aprire una via di fuga da questa gabbia distopica fatta di controllo e censura delegata a delle fredde macchine sotto il controllo di umani più umani. L’orizzonte dell’utopia verso il quale muoversi sarebbe proprio un processo simpoietico d’ibridazione, piuttosto che un percorso evoluzionista. Invece di insegnare alla macchina un algoritmo – un linguaggio composto da un insieme di comandi – in grado di riconoscere i “contenuti per adulti”, senza per altro fidarci di quali decisioni verrebbero prese, potremmo immaginare l’algoritmo come una lingua condivisa, transfemminista, includente; che produca spazi in cui sentirsi abbastanza confortevoli e accolte da poter essere coraggiose nel condividere anche i nostri desideri, senza incorrere nelle molestie della censura o del patriarcato; un cyborg learning reciproco, non indirizzato a colpire dei target, parole scomode, soggetti sensibili; in cui una parte deve mantenere il controllo e l’altra solo apprendere, nel terrore costante della perdita di controllo su ciò che la macchina apprende da sola infinitamente. Un terrore che si nutre di ciò che alla macchina insegniamo: scovare, disciplinare, punire, censurare, la bianchezza, le frontiere, il terrore dei corpi, della libertà ,del desiderio. Non ci resta quindi che essere coraggios*, immaginare una nuova relazione con la macchina in cui apprendiamo reciprocamente quello che non è ancora qui, ora. Intanto non ci restano che i gattini.

Questione di sguardi. Il postporno dagli occhi di Lasse Långström e i miei

Questo articolo è già stato pubblicato su Leggendaria. Libri Letture Linguaggi nel numero intitolato “Corpi Sguardi Desideri”, dedicato ai nuovi scenari nella pornografia. Ringraziamo la rivista per aver condiviso l’articolo e ancora di più chiunque avesse voglia di sostenere un progetto che è molto di più di una rivista culturale femminile e femminista.

Contempt Warnings: Nell’articolo è descritto con linguaggio esplicito un rapporto S/M.
“Robert Frank Robert Frank Robert Frank Robert Frank Robert Frank. Io mi rispecchio in lui per tutta la storia. Robert Frank, Robert Frank. Questa è grande arte. (…). È un mostro talmente immenso della storia dell’arte, lui è talmente grande che non possiamo neanche comprenderlo. Robert Frank è talmente grande e continua a diventarlo sempre di più, che perfino io mi sento diventare più grande con Robert Frank… Robert Frank… Robert Frank…”
Va avanti così per pochi minuti che mi sembrano durare troppo, troppo. Questo è l’incipit del video Robert Frank, un cortometraggio di Lasse Långström regista e attivista transfemminista queer svedese. Intanto il professore sullo schermo parla, parla, parla, decanta le doti, venera l’immagine proiettata, sfiora la parete, raggiunge l’eccitazione.
“Uomini che ammirano uomini che ammirano uomini che ammirano uomini. È sempre stato così privo di interesse. Io sono il frocio, la donna, il bambino, che ci faccio qui?”
Che ci faccio qui? Le dita tamburellano annoiate sulle file di sedie davanti. Mi do una controllata allo smalto rosso. Mi annoio. Io sono protagonista, favorita dalle riprese in POV, point of view. La telecamera sono i miei occhi, l’impazienza delle mani la mia, la voce fuori campo sono i miei pensieri a troppe lezioni, seminari, convegni. Le recenti tecnologie di ripresa, come piccole telecamere da vestire o gli stessi cellulari, hanno diffuso le riprese in soggettiva nel cinema e in modo esponenziale nel porno. L’ultima frontiera è quella del POV combinato al 3D grazie ad una mascherina che da l’illusione di stare direttamente sul set, portando le fantasie ai limiti della frustrazione. Estrema frontiera della scopofilia (Mulvey, 1975): il piacere visuale non è più quello del voyeur, ma la totale identificazione. Da questa prospettiva, l’esperienza del porno come “embodied image” così come definita da Annie Sprinkle (2001) è condotta alle estreme conseguenze. Nel porno, infatti, l’immagine cattura il corpo attraverso il desiderio, ma la tecnologia permette in modo totale questa convergenza. Sprinkle ha portato oltre i confini del genere la teoria della performatività di Butler, spiegandoci come la sessualità stessa sia una coreografia regolata da meccanismi di imitazione, ripetizione, aspettative e vie di fuga.
La pornografia permette di portare in scena – o sarebbe il caso di dire fuori scena dall’etimologia di osceno – la sessualità nel pubblico, portandola via dal privato; ciò significa anche renderla commercializzabile. Il capitalismo, in questo modo, riesce a capitalizzare anche la potenza masturbatoria dei corpi. Da qui l’invito di Paul B. Preciado a produrre nuovi porno, che creino sessualità comuni, collettive, condivise, copyleft, che siano liberate, ma soprattutto liberanti rispetto al mercato del porno mainstream e ai discorsi egemonici su sessi e generi (Preciado, 2013). E muovendosi su questa traccia che nascono e si diffondo porno queer, femminili o femministi, terroristi e tutto ciò che oggi viene messo nel contenitore post-porno.
Parlavamo di vie di fuga: mi alzo, raggiungo il professore, nella sala scura l’unica fonte di luce è lo scettro lunare fuxia, con cui lo zittisco. È in questo momento che il topos del porno da aula, quello del professore o della professoressa con lo/la studente, viene ribaltato. Le potenzialità del porno sono espresse principalmente dall’estetica che sollecita le fantasie, piuttosto che il contenuto in sé, che può essere anche abbastanza ripetitivo. È intorno a queste estetiche che si producono comunità e soggettività. Battezzo il professore lasciandogli il una striscia di glitter fuxia con il pollice sulla fronte, preparo il rito, peluches e fiori rosa. Lo schiaffeggio, intimandogli ancora il silenzio. Riempio finalmente la sua bocca con le mie dita, esploro, penetro. Nei suoi occhi la meraviglia. Impartisco ordini. Scrivo sulla sua pelle con il rossetto, scrivo ancora con gli schiaffi, scrivo sulla sua pelle in modo esplicito quali siano le relazioni di potere in questo amplesso. Scriverle in modo esplicito non significa solo sovvertirle, ma poterle negoziare, esprimere consenso, prendersene cura. Questa operazione di scrittura è parte della somatopolitica, un modo di ripensare le relazioni di potere a partire dai corpi, l’estetica del dolore è pratica sovversiva di cura. Sui nostri corpi è scritto da sempre l’ordine della medicina, l’imperativo della produzione e l’aspettativa della riproduzione, sono scritte frontiere materiali e immateriali tra nazioni e generi, i nostri corpi sono luoghi di battaglia ed in questo senso, luoghi di resistenze. È a partire dai corpi, dunque, che ribaltiamo la tavola, o in questo caso, la cattedra. Questi porno rappresentano l’interruzione nella storia delle rappresentazioni della sessualità – in cui le relazioni di potere erano trasparenti e il romanticismo una forma di disciplina – utilizzando una tecnologia di resistenza e sovversione. Nel dare consistenza alle relazioni di potere prendono forma le asimmetrie del sistema di produzione/riproduzione, mentre questa specifica performance punta il dildo contro la cattura dei corpi nel capitalismo cognitivo.
Lo metto a pecora e lo tengo con una presa forte per i capelli, mentre lui geme e gode. La voce fuori campo è ancora la mia voce interiore, che pronuncia lentamente ciò che non ho mai osato agire. “Il disperato bisogno di riempire di significato ciò che non ne ha, di riempire il vuoto dentro con l’autocompiacimento di ego smisurati, solo per riflettere sé stessi, è solo un desiderio di penetrazione mal canalizzato. Di essere riempito da qualcun altro.” Così lo spingo dietro, e schiaffeggiandolo ancora gli do questa lezione. In questo erotismo esiliato dalla sola genitalità, disseminato, ogni parte del corpo è penetrante e penetrabile, tutti i corpi e gli oggetti risignificati, esaltando l’incongruenza tra la biologia dei corpi e tutto ciò che possono performare. Nel porno mainstream la rigida divisione tra corpi penetranti e penetrati riproduce la divisione biopolitca che regge la stratificazione della nostra società. È a questo punto che avviene la sovversione: “sono il frocio, la donna, il bambino, sono sempre dentro di te”.
Il professore è a terra in posizione fetale e io raggiungo l’orgasmo e inizio a coprirlo del mio sperma. Secondo lo schema che Preciado definisce “platonismo spermatico”, l’eiaculazione è l’unica cosa reale del porno ed è spesso progettato per coincidere con l’eiaculazione dello spettatore (Preciado, 2013). Nulla di più vero di questo sperma vegano che cade da un corpo ignoto, queer, in cui lo sperma cade a pioggia, abbondante e imprevisto, come pratica di riappropriazione e destabilizzazione. Preciado chiama potentia gaudendi la forza orgasmica che conduce a compimento il potenziale desiderante; non ha alcun altro fine se non quello di realizzarsi, in modo incontenibile, oltre il tempo e lo spazio, l’assegnazione dei corpi ad un genere. L’unica energia che non può essere in alcun modo catturata.
Nel momento dell’eiaculazione avviene la mia desoggetivazione dal protagonista, eppure nulla è più desiderato e catartico di quello sperma che sommerge il professore che intanto spalanca la bocca per accoglierlo e chiederne sempre di più. “devi essere penetrato, profondo, lungo, forte. Profondo, lungo, forte. Sono il frocio, la donna, il bambino e sono sempre dentro di te. Ma tu non vuoi mai ammetterlo. Per questo devo penetrarti con violenza, forzarti, per sentirmi finalmente a mio agio. Farti sentire che ti sto dentro. All’inizio fa male, ma poi passerà. Imparerai a fartelo piacere. Questa è la catarsi. Sei rinato. Questa è grande arte.”
Lasse Långström è anche studente di cinema. Dopo una serie di seminari intensivi su Robert Frank è stato invitato a produrre un film ispirato al fotografo e regista statunitense. Il giorno della proiezione pubblica dei lavori assegnati ha presentato il suo film con i professori che avevano tenuto i corsi e avrebbero dovuto giudicarlo sul palco accanto allo schermo. Riaccesa la luce in sala, silenzio.