Skip to main content

Sciopero dell’8M – Appello al mondo della ricerca e della formazione.

Da più di un anno la marea transfemminista di Non Una di Meno si è alzata a livello globale, esondando inarrestabile. Anche in Italia, dopo un anno che ha visto al lavoro assemblee in circa 70 città, dopo 6 incontri nazionali, dopo lo sciopero globale delle donne dell’8 marzo scorso, e il progetto di scrittura collettiva di un piano antiviolenza, contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere, la marea continua inarrestabile e si prepara al prossimo 8 Marzo.

In questi mesi a Napoli ci siamo incontrat* settimanalmente come assemblea cittadina NUDM, attraverso tavoli di lavoro per studiare insieme il Piano Transfemminista di NUDM e ad elaborare il nostro piano territoriale di mobilitazione. Un lavoro ancora tutto in itinere, ma che a ridosso dell’ultimo appuntamento nazionale a Milano vogliamo rilanciare, ripartendo innanzitutto dall’università, dai luoghi del sapere, in quanto luoghi primari per la produzione di un sapere critico e dunque anche dove vengono prodotti pensieri e pratiche per il contrasto alla violenza del genere.
Le riforme e anni di politiche di austerità e tagli hanno spazzato via dall’università centri e dipartimenti in cui venivano prodotti pensieri critici, impoverendo sempre più la didattica, ma soprattutto diminuendo la possibilità di incontro e confronto per creare e diffondere un pensiero trasformativo, soprattutto in una prospettiva femminista. Così, mentre vediamo che grazie al capitalismo che investe nel diversity managment fioriscono master o studi specifici rivolti alle donne, soprattutto in chiave d’impresa, la prospettiva femminista, intesa come pensiero critico e sfida agli apparati disciplinanti del sapere, viene scacciata malamente dall’università.
Gli studi di genere, in particolare, sono da anni sotto il peso di offensive ideologiche mirate a criminalizzare ed espellere dall’università i saperi delle donne e delle soggettività lgbt, che erano timidamente riusciti ad affermarsi grazie ad anni di lotte e non di certo per gentile concessione.Come affermato nel piano, riteniamo che il femminismo non sia una materia o un corso, ma un’inclinazione che interpella direttamente le discipline anche come sistemi di potere. Le università dovrebbero essere tra i primi mezzi di diffusione di un sapere critico, ma soprattutto sono i luoghi di divulgazione della cultura, la quale, per poter cambiare i contesti di vita quotidiani, deve necessariamente essere modificata. Il sessismo non può più essere giustificato con la copertura della neutralità dei saperi e dei linguaggi.
Inoltre, sebbene sia evidente che le studenti sono ben più della metà degli iscritti in molte facoltà, continuiamo a vedere che man mano che si risale la gerarchia delle posizioni accademiche, troviamo sempre meno donne, persone dichiaratamente omosessuali, per non parlare della totale assenza di persone trans, senza neanche voler sottolineare la bianchezza dei contesti di formazione. Riteniamo che questo sia da attribuire alla disparità di risorse materiali e aspettative sociali che, quando non rappresentano una barriera all’entrata sin dal principio, costituiscono un impedimento che costringerà in continuazione le donne e le altre soggettività a dover scegliere tra il proseguimento della propria formazione e carriera e il lavoro non riconosciuto di cura.
Questa condizione di ingiustizia e disuguaglianza ci rende da sempre più precari* e più vulnerabili, e dunque da sempre più oggetto di prepotenze di ogni tipo e molestie sessuali che non possiamo denunciare sotto il ricatto della laurea o dei rinnovi delle borse e dei contratti, rendendoci sempre più isolate e frustrate.

Anche per questo pensiamo sia necessario avviare una discussione all’interno delle nostre facoltà in materia di prevenzione della violenza di genere, educazione alle differenze, perché la scuola e le università non contribuiscano più a diffondere una visione stereotipata e sessista dei generi e dei rapporti di potere tra essi.

  • Vogliamo continuare a lottare contro i tagli affinché i saperi critici non si estinguano e il femminismo venga riconosciuto, senza alcuna distinzione tra settori disciplinari, materie scientifiche ed umanistiche, un valore da riaffermare, sottraendolo alle logiche d’impresa e produttiviste dell’università con cui ci confrontiamo.
  • Pretendiamo di riaprire gli archivi delle conoscenze e recuperare i saperi e le storie che sono condannate all’oblio, perchè considerate minoritarie: rivediamo i programmi, riscriviamo i manuali, torniamo a leggere ciò che ci viene precluso.
  • Siamo stanch* di non poter denunciare casi di molestie sempre più frequenti nelle università.
  • Vogliamo mettere al centro il non riconoscimento del lavoro di moltissime ricercatrici precarie e non strutturate, le cui forme di sciopero si limitano, dato che il loro lavoro non viene considerato propriamente un lavoro; generazioni di precari* che portano avanti un vero e proprio “badantato accademico”, spesso non retribuito e senza alcuna garanzia viste la totale precarizzazione delle condizioni di lavoro, a cui viene chiesto di produrre pensieri/saperi/ricerca spesso in una modalità di vero e proprio autosfruttamento, per la passione profusa e la speranza che un giorno le cose possano andare meglio.
Questi sono solo alcuni dei motivi che ci spingono ad aderire allo sciopero dell’8 marzo come student* dottorand*, persone impegnante nella ricerca ad ogni titolo e professoressi. E proprio per questi stessi motivi vorremmo invitare tutt* a scioperare con noi.

#WETOOGETHER

Le proposte per aderire allo sciopero sono le seguenti:

– Per le poche persone nell’università che sono nella posizione di poterlo fare di aderire allo sciopero.
– Diversamente, durante la mattinata dell’8 e nei giorni immediatamente precedenti, svolgere lezioni che permettano l’introduzione, l’approfondimento e la discussione dei temi che hanno portato alle numerose manifestazioni globali e allo sciopero internazionale.
– Sospensione totale della didattica.
– Sciopero dalle email.

– Partecipazione alla passeggiata serale Non Una Di Meno.

Queste sono solo alcune delle modalità di svolgimento dello sciopero, ma siamo aperte ad altre proposte che possano rendere il nostro percorso più largo ed attraversabile.

L’8 marzo rilanciamo i saperi eccentrici e liberiamo la didattica dal maschilismo.
Non una di meno – Napoli

ELENCO ADESIONI:

Milena Bernardo studente filosofia
Antonia Anna Ferrante
Francesca De Rosa – ricercatrice precaria
Giulia Follo – studente
Alessia Peca – studente
Francesca Galloni – studente
Arianna Boccamaiello – studente
Sofia Esposito – studente
Serena Mammani – Studente
Virginia Papaleo – studente
Tiziana Terranova – TRU Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Lidia Curti – Feminist Futures Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Marina Vitale – Feminist Futures Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Silvana Carotenuto – Feminist Futures Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Alessandra Ferlito – TRU Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Roberto Terracciano – TRU Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Iain Chambers – Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Olga Solombrino – Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Celeste Iannicello – Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Annalisa Piccirillo – Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Mara De Chiara – Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Alessandro Buffa – Centro Studi Postcoloniali e di Genere
Stamatia Portanova – TRU, Feminist Futures Centro Studi Postcoloniali e di Genere

 

LOTTO MARZO. Sciopero Ricercatoru e Docenti

Un’ondata di femminismo si è generata a sud, dalle donne (cisgenere e trans) che al grido di “ni una menos” hanno sollevato la questione della violenza e degli omicidi, diffondendosi in tutta l’America Latina. Questa onda si è propagata in Polonia, dove le donne hanno bloccato per giorni il paese per difendere il diritto all’aborto e all’autodeterminazione. Si è fatta marea, inondando le strade di Roma e portando in tutta Italia una mobilitazione di donne e soggettività queer a protestare contro la violenza di genere. Negli Stati Uniti le donne hanno inondato la capitale e le maggiori città contro l’insediamento di Trump e contro il razzismo e il sessismo che hanno preso il sopravvento nel paese. Soltanto quando la marea ha travolto e bloccato i maggiori aeroporti degli Stati Uniti i media internazionali si sono resi conto della portata di queste proteste, tacendo però il carattere transnazionale della rivolta di donne di paesi distanti, ma unite nella lotta contro il patriarcato e il capitalismo.

L’otto marzo 2017 sarà una giornata di lotta e mobilitazione transnazionale e le donne di 22 paesi hanno indetto lo sciopero per bloccare il lavoro di produzione e riproduzione nel Capitalismo che assegna valore diverso alle nostre vite, invisibilizza il lavoro di cura, crea disparità di salari e produce profitto dalla capitalizzazione delle differenze. Il sistema del genere, riprodotto attraverso l’eterosessualità obbligatoria, impone ruoli e assegna aspettative (una violenza in sé), generando e alimentando la violenza contro altri corpi più vulnerabili. In questo contesto, le frontiere rappresentano una ferita sanguinante sui corpi delle persone migranti, sulle quali si produce profitto senza reputarle degne di vivere.

Da sempre l’Università ci ha spinto a produrre il doppio per aver riconosciuta la metà: numerosissime studenti affollano le aule e mandano avanti le ricerche nei dipartimenti sfidando il soffitto di cristallo che le divide dalle posizioni di presitigio, o dal miraggio di un contratto. Ma oggi, dopo anni di riforme e tagli la situazione è collassata. Il patrimonio di conoscenze di pensieri divergenti sono considerati minoritari, inutili e addirittura dannosi all’interno di un paradigma della conoscenza finalizzato al profitto: una vera e propria condanna a morte per gli studi di genere, femminili, queer e postcoloniali che vede l’accorpamento (leggi chiusura) del dottorato di studi culturali e postcoloniali in cui molte di noi si sono formate e in cui tutte noi avevamo trovato una comunità orizzontale di crescita e scambio. Dal femminismo abbiamo imparato a partire da noi per produrre un pensiero che potesse cambiare il mondo. Le pensatrici e scrittrici postcoloniali ci hanno insegnato ad ascoltare e pensare accanto, non parlare “al posto di”. Il pensiero queer ci ha mostrato come praticare l’arte del fallimento e del tradimento delle epistemologie monumentali. Mai come in questo momento crediamo che le conoscenze debbano servire per prendere posizione, mettendo in discussione i nostri privilegi ed esprimendo un pensiero divergente contro la violenza del sistema dei generi, le misure di austerità e tagli che hanno condannato a morte l’Università e le conoscenze, contro il razzismo isituzionale e le politiche securitarie che in nome della difesa delle donne e delle persone LGBTI perseguitano e deportano le persone migranti, ma soprattutto contro ogni tipo di confine, materiale e immateriale, tra nazioni e generi.

Per questi motivi aderiamo allo sciopero dell’8 marzo. Alcune sciopereranno regolarmente, ma la maggior parte di noi, senza contratto, riconoscimento e tutela alcuna all’interno dell’università, dovrà inventare nuove forme di assedio al capitalismo cognitivo. Nelle aule dove insegniamo, spesso gratuitamente, incroceremo le braccia dal lavoro non riconosciuto e non retribuito. Diserteremo dall’obbligo autoimposto di dover essere sempre visibili e produttive che ci spinge in continuazione all’autosfruttamento. Rifiuteremo di praticare ogni forma di cortesia verso chi scambia la nostra precarietà come la legittimazione ad una totale e perenne disponibilità. Troveremo nuovi ed imprevedibili modi per prendere parola e manifestare la nostra rabbia contro questo sistema ed esprimere la nostra solidarietà con chi lotta per un mondo senza disparità, violenza e confini.